“Ma tu I Middlestein non li vuoi? Com’è possibile? Li vogliono tutti!” mi è stato chiesto. Ed è vero, tutti vogliono leggere I Middlestein, questo romanzo che si chiama con un cognome, che indica una famiglia e che potrebbe benissimo indicare tutti noi. E, infatti, tutti lo cercano, io compresa, solo che, quando mi è stata posta quella domanda, lo avevo già trovato e anche letto.
Non so cosa mi aspettassi di trovare in questo libro, di sicuro pensavo che la protagonista fosse una disagiata, emarginata e sofferente signora sovrappeso, molto sovrappeso, costretta a combattere senza successo contro la sua obesità. Invece Edie è tutto fuorché depressa ed emarginata: è combattiva, decisa, perfettamente a suo agio nei chili che tutti, tranne lei, considerano di troppo.
Nella sua vita di bambina le è stato insegnato ad amare il cibo, che è attraverso di esso che si trasmette l’amore, le è stato insegnato che lo stesso atto del magiare è amore. E lei cresce così, con queste convinzioni e con curve morbide che contrastano con le figure spigolose delle sue coetanee eppure nessuno la addita, nessuno la disprezza, tutti la amano così e ne ammirano la figura piena perché lei, con fierezza, la porta in giro. Edie è felice di com’è e lo trasmette al prossimo e, quando conosce Middlestein, suo futuro marito, non è la stessa persona: è dimagrita a causa delle preoccupazioni per il padre malato e nemmeno il cibo le è di conforto. Per la prima volta nella sua vita, i vestiti le stanno larghi, sente le ossa spigolose sporgerle sotto la carne, mangia a fatica, quando si ricorda di mangiare.
E’ questa la Edith di cui si innamora Richard Middlestein ed è questa Edith che accetta di sposare quell’uomo che, un giorno, la strappa dalla stanza d’ospedale del padre morente e la porta a pranzo fuori.
Quella Edie però sparisce presto e al suo posta torna la donna in carne, amante del cibo in tutte le sue forme che in esso trova conforto e nelle braccia del quale si rifugia per trovare scampo e conforto da questa vita che, più spesso di quanto vorremmo, mette problemi e dolori sul nostro cammino.
Richard non riesce ad innamorarsi della nuova Edith, anche perché lei stessa non si fa amare da lui: le ricorda una se stessa diversa, una se stessa che non conosce e che non riconosce.
E così la famiglia Middlestein si allarga, nascono due figli, marito e moglie si allontanano, Edie trova sempre più conforto nel cibo e il cibo diventa il suo rifugio, al punto da voler mangiare da sola, ma non perché si vergogna delle quantità di cibo che ingurgita, semplicemente perché quello è la sua coperta di Linus, la stanza tutta per se nella quale ognuno di noi si rifugia quando ha bisogno di stare solo. Per Edith Middlestein il cibo ha una dimensione privata, il piacere che le provoca mangiare è catartico, totalmente liberatorio e centralizzante: ogni cosa, ogni persona, ogni dispiacere sparisce davanti al cibo.
Persino la morte e la paura di essa spariscono davanti ad esso.
Persino le preoccupazioni della famiglia.
Persino l’abbandono del marito e il divorzio.
E io, adesso, me ne vado a casa e dico ad Alberto che per cena voglio qualcosa di più di un po’ di carne alla piastra e dell’insalata. E, visto che è il mio compleanno, passo in pasticceria e mi compro una torta degna di questo nome per festeggiare.
Perché, nelle giuste proporzioni, il cibo non è un nemico, anzi.
I Middlestein, Giuntina, 224 pagine, tradotto da Rosanella Volponi